I recenti episodi di opere pubbliche i cui lavori preliminari sono stati bloccati da manifestazioni di protesta delle popolazioni locali (di cui le manifestazioni di protesta per i TAV costituiscono l’ultimo eclatante esempio; v., tuttavia, anche il problema della localizzazione di termovalorizzatori in Campania, l’individuazione di un sito di stoccaggio per le scorie nucleari a Scansano Ionico e la realizzazione di alcune progettate centrali elettriche a carbone) ......
hanno indotto diversi commentatori a concludere che il nostro paese è “bloccato”, dato che qualsiasi iniziativa volta alla modernizzazione e comunque alla realizzazione di opere indispensabili per lo sviluppo viene quasi sempre impedita dalle popolazioni locali, in base al principio secondo cui le opere pubbliche o di interesse pubblico possono anche essere realizzate, ma non nel proprio ambiente circostante (“not in my backyard”).
La conclusione è probabilmente esatta, ma non spiega il perchè di tale comportamento.
Esso è in buona parte dovuto alla non conoscenza da parte del comune cittadino dei criteri che hanno indotto ad affettuare una determinata localizzazione e dei moderni metodi di realizzazione delle opere, volti a scongiurare o comunque a limitare l’impianto ambientale delle opere in questione. Sulla paura inconscia dei cittadini nei confronti delle opere pubbliche, peraltro, fanno leva gli interessi di gruppi politici i quali, per propri interessi di bottega, piuttosto che indagare sulle metodologie adottate per la realizzazione delle opere, finiscono per alimentare spesso un vero e proprio terrorismo psicologico.
Agli occhi del cultore del diritto amministrativo, i cennati episodi inducono a formulare due osservazioni:
1) la prima è che la tanto strombazzata amministrazione “per accordi” non può esistere in alcuni settori, o, per meglio dire, può esistere nella misura in cui esiste nel contempo un potere unilaterale autoritativo della P.A.; quest'ultima, sia pure alla fine di un processo di valutazione dei contrapposti interessi e delle garanzie che vengono offerte in sede di realizzazione delle opere pubbliche, deve necessariamente fare prevalere gli interessi pubblici dell’intera collettività su quelli delle comunità locali;
2) la seconda osservazione, più rilevante ai fini che ci interessa, è quella secondo cui, nel quadro della legislazione riguardante la realizzazione delle opere pubbliche e, in generale, l’adozione di atti che interessano grandi settori della popolazione, non esistono meccanismi atti ad informare preventivamente i cittadini delle decisioni amministrative ed far comprendere loro le garanzie che vengono offerte dalla moderne tecnologie per scongiurare o comunque limitare gli inconvenienti che possono derivare dalla realizzazione delle opere pubbliche ed i vantaggi che possono derivare da esse alle stesse popolazioni locali.
In altri paesi (primi tra tutti, gli Stati Uniti), sono presenti a tal fine degli strumenti che sinteticamente sono stati denominati di “notice and comment”, volti, appunto, a dare notizia e a consentire una partecipazione delle popolazioni locali interessate ed degli organismi esponenziali della collettività ai processi decisionali che riguardano la localizzazione di opere pubbliche di rilevante interesse.
Nel nostro ordinamento, invece, mancano tali meccanismi. Una delle lacune più evidenti delle norme in materia di partecipazione ai procedimenti amministrativi contenute nella legge generale sul procedimento (L. n. 241 del 1990) ed alle successive leggi che ad essa si sono ispirate (v. per tutte il T.U. sulle espropriazioni per p.u. del 2001) è costituita dal fatto che, mentre è prevista una partecipazione cd. "individualistica" limitata ai proprietari dei terreni direttamente incisi dalle opere pubbliche, non è previsto alcun meccanismo di partecipazione delle comunità locali interessate nel caso di procedimenti “di massa” (o “ad alto contenuto partecipativo) e cioè di procedimenti amministrativi che riguardano non solo e non tanto i singoli proprietari incisi dal provvedimento finale, ma intere comunità che sono comunque coinvolte (sui procedimenti di massa v. per tutti PERICU, I procedimenti di massa, in AA.VV., Il procedimento amministrativo fra riforme legislative e trasformazioni dell’amministrazione (a cura di TRIMARCHI) - Atti del convegno sul procedimento amministrativo di Messina-Taormina del 25-26 febbraio 1988, Milano, 1990).
Neanche le recenti modifiche alla legge generale sul procedimento amministrativo (apportate con la L. n. 15 del 2005) hanno colmato tale lacuna (sia consentito in proposito fare rinvio al mio breve articolo su Le modifiche ed integrazioni alla legge n. 241 del 1990 recentemente approvate. Osservazioni derivanti da una prima lettura, in www.lexitalia.it, n. 1/2005; ma v. anche B. MATTARELLA, La riforma della legge n. 241 sul procedimento amministrativo - Le dieci ambiguità della legge n. 15 del 2005, Relazione alla Scuola superiore dell’Amministrazione dell’interno, 4 maggio 2005, in www.ssai.net).
Eppure uno dei due progetti elaborati dalla Commissione Nigro, dalla quale deriva la legge n. 241 del 1990, prevedeva apposite norme partecipative per i procedimenti “di massa”, che interessano una notevole moltitudine di cittadini, specie quelli residenti nelle zone dove dovranno essere realizzate le opere pubbliche.
A tal fine erano state previste delle apposite istruttorie pubbliche, alle quali avrebbero potuto partecipare non solo gli organismi esponenziali della collettività (enti locali interessati, associazioni ambientaliste, ecc.), ma anche semplici cittadini, i quali, in tal modo avrebbero potuto conoscere i criteri tecnici in base ai quali si intende effettuare la scelta, gli accorgimenti adottati per eliminare o comunque ridurre l’impatto delle opere ed i possibili vantaggi che potrebbero derivare dalla loro realizzazione.
In realtà il meccanismo di partecipazione previsto dalla Commissione Nigro non riguardava solo la localizzazione di opere pubbliche, ma anche l’adozione di atti amministrativi a contenuto generale (quali i piani regolatori generali, i piani paesistici, i piani commerciali, la localizzazione di centrali energetiche, ecc.) aventi un notevole impatto sullo sviluppo della comunità locale.
Vale la pena di riportare il testo elaborato dalla Commissione Nigro per la partecipazione ai procedimenti di massa. Prevedeva il punto 7 dello schema di disegno di legge (pubblicato, assieme al parere espresso dall’Adunanza Generale del Consiglio di Stato in data 17 febbraio 1987, in Il Cons. Stato 1987, II, 525 ed in Foro It. 1988, III, 22) che:
“L’adozione degli strumenti urbanistici, di piani commerciali e di piani paesistici, la localizzazione di centrali energetiche e l’esecuzione di opere pubbliche, che incidano in modo rilevante sull’economia e sull’assetto del territorio e che rientrino nelle categorie individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri , devono essere precedute da istruttoria pubblica. L’istruttoria è facoltativa nel caso di altri procedimenti di particolare interesse partecipativo.
A tal fine l’ufficio procedente, previo pubblico avviso, indice apposite riunioni per l’esame dell’iniziativa.
Alle riunioni possono partecipare, oltre ai promotori dell’iniziativa, le pubbliche amministrazioni e le organizzazioni sociali e di categorie interessate. Tutti coloro che vi abbiano interesse, anche di fatto, possono far pervenire proposte e osservazioni scritte.
Ogni amministrazione interessata adotta e rende pubbliche norme di disciplina delle modalità di svolgimento e della verbalizzazione delle conclusioni delle riunioni di cui al secondo comma. In mancanza di tali norme le riunioni si svolgono secondo criteri stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da emanare entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge. Il presidente del Consiglio dei ministri può, altresì, con atto di indirizzo e coordinamento, emanare in materia direttive vincolanti per tutte le amministrazioni pubbliche”.
Come si vede, il testo dello schema della Commissione Nigro prevedeva apposite istruttorie pubbliche per la localizzazione di opere pubbliche di rilevante interesse nonchè per l’adozione di atti amministrativi aventi un notevole impatto sulle popolazioni locali. A tali istruttorie pubbliche avrebbero potuto partecipare non solo “le pubbliche amministrazioni e le organizzazioni sociali e di categorie interessate”, ma anche “tutti coloro che vi abbiano interesse, anche di fatto” (e, quindi, anche i cittadini interessati).
L’unico limite era previsto per quest’ultima categoria di interventori, i quali avrebbero potuto solo “far pervenire proposte e osservazioni scritte” (secondo lo schema della partecipazione cartolare previsto dallo stesso schema per la partecipazione c.d. “individuale”). Un limite, che a mio avviso, oggi come oggi, non ha più ragione di esistere, dato che scopo dell’istruttoria pubblica non è solo quello di prospettare soluzioni alternative, ma soprattutto quello di far comprendere alla cittadinanza le ragioni di determinate scelte.
Non è chiaro tuttavia perchè tale norma fu stralciata e non riprodotta nel testo della legge n. 241 del 1990. Certo è che la sua introduzione, anche alla luce dei recenti episodi ai quali si faceva cenno, sarebbe oltremodo opportuna, in modo tale da prevedere (piuttosto che “tavoli” estemporanei convocati ex post, a seguito delle proteste popolari) in via generale dei meccanismi atti ad informare in via preventiva le comunità interessate da opere pubbliche di notevole impatto del perchè di determinate scelte e di valutare, assieme alle comunità stesse, le soluzioni tecniche che sono state previste per scongiurare possibili pericoli che possono derivare dall’esecuzione delle opere.
Giovanni Virga, 14 dicembre 2005.
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